Capitolo diciannovesimo
di Dio in terra presenta, di secolo in secolo, notevoli punti di contatto con le grandi riforme e con i grandi movimenti religiosi del passato. 1 princìpi che stanno alla base dell'azione divina nei confronti degli uomini sono sempre gli stessi, e così gli importanti movimenti attuali trovano riscontro con quelli di allora, per cui l'esperienza della chiesa di un tempo contiene lezioni di sommo valore per la nostra epoca.
Nella Bibbia non c'è verità più evidente di questa: Dio, mediante il suo Spirito Santo, dirige i suoi servitori nel mondo nel loro compito di portare a termine il piano della salvezza. Gli uomini, così, sono degli strumenti nelle mani di Dio per l'attuazione dei suoi progetti di grazia e di misericordia. Ognuno di essi ha il suo definito incarico, e a ciascuno viene accordata una misura di luce adatta al suo particolare compito e sufficiente a renderlo idoneo all'attuazione del mandato assegnatogli da Dio. Nessuno, però, per quanto onorato dal cielo, è mai pervenuto a una totale comprensione del piano della redenzione o del proposito divino nell'opera che era stato chiamato a svolgere. In altre parole, gli uomini non possono sempre capire in pieno quello che Dio intende conseguire tramite l'incarico che ha loro assegnato, e quindi non riescono ad afferrare in tutta la sua portata il messaggio che vanno proclamando nel suo nome.
« Puoi tu scandagliare le profondità di Dio? arrivare a conoscere appieno l'Onnipotente? » Giobbe 11: 7. « Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie son le mie vie, dice l'Eterno. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così son le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri » Isaia 55: 8, 9. « lo son Dio, e non ve n'è alcun altro; son Dio, e niuno è simile a me; che annunzio la fine sin dal principio, e molto tempo prima predìco le cose non ancora avvenute » Isaia 46: 9, 10.
Neppure i profeti, favoriti com'erano di speciale luce da parte dello Spirito, videro tutta la portata delle rivelazioni avute. li loro significato era svelato gradatamente, nel corso dei secoli, e nella misura in cui il popolo di Dio aveva bisogno delle istruzioni che tali rivelazioni contenevano.
L'apostolo Pietro, scrivendo della salvezza messa in luce dal Vangelo, dice: « 1 profeti... indagavano qual fosse il tempo e quali le cir
costanze a cui lo Spirito di Cristo che era in loro accennava, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo, e delle glorie che dovevano seguire. E fu loro rivelato che non per se stessi ma per voi ministravano quelle cose » 1 Pietro 1: 10-12.
I profeti, pur non avendo avuto il privilegio di capire appieno le cose loro rivelate, nondimeno cercavano di avvalersi di tutta la luce che Dio si era compiaciuto di dare. Essi, perciò, indagavano per conoscere « il tempo e le circostanze » indicati dallo « Spirito di Cristo che era in loro ». Che magnifica lezione per il popolo di Dio della dispensazione evangelica, a beneficio del quale queste profezie furono date tramite i servitori dell'Altissìmo! « E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi ministravano quelle cose ». Notate con quanta diligenza questi uomini di Dio prendevano nota delle rivelazioni destinate alle generazioni future. Osservate il contrasto fra il loro santo zelo e la noncuranza di cui alcuni danno prova nei confronti della luce celeste. Quale biasimo per l'amore del cosiddetto quieto vivere, per l'indifferenza che è frutto dell'attaccamento al mondo, per lo scetticismo di chi afferma che le profezie non possono essere capite!
Sebbene le menti limitate degli uomini non possano penetrare i consigli dell'Essere infinito o capire in pieno l'attuazione dei suoi piani, spesso la causa di questo stato di cose va ricercata nel fatto che gli uominil o per errore o per negligenza, finiscono per non comprendere i messaggi del cielo. Non di rado le menti terrene, e perfino quelle dei servitori di Dio, sono talmente accecate dalle opinioni umane, come pure dalle tradizioni e dai falsi insegnamenti, che riescono solo parzialmente a rendersi conto delle sublimi cose che l'Eterno ha rivelato nella sua Parola. Così fu nel caso dei discepoli di Cristo, anche quando il Salvatore era personalmente con loro. Le loro menti erano così imbevute di concetti popolari circa un Messia considerato principe temporale, incaricato di innalzare Israele sul trono di un impero universale, che non riuscirono a capire il senso delle parole preannuncianti le sue sofferenze e la sua morte.
Cristo stesso li aveva incaricati di annunciare il messaggio: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all'evangelo » Marco 1: 15. Quel messaggio era basato sulla profezia di Daniele 9. Le sessantanove settimane dovevano estendersi, per dichiarazione dell'angelo, fino « al Messia principe »; e così, con grandi speranze e gioiosa aspettativa, i discepoli sognavano lo stabilimento del regno messianico in Gerusalemme, in vista di un dominio -esteso su tutta la terra.
Essi predicavano il messaggio che era stato loro affidato da Cristo, però ne fraintendevano il significato. Mentre il loro annuncio si basava su Daniele 9: 25, non si rendevano conto che nel versetto seguente si parlava del Messia « soppresso ». Fin dalla nascita i loro cuori si erano orientati verso l'anticipazione della gloria di un impero terrenol e questo annebbiava il loro intelletto sia per quello che la profezia indicava, sia per quello che le parole di Cristo significavano.
Essi fecero il loro dovere porgendo alla nazione ebraica l'invito della misericordia divina; ma proprio quando pensavano di vedere il Maestro salire sul trono di Davide, lo videro arrestato come un malfattore, percosso, deriso, condannato e innalzato sulla croce del Calvario. Quanta angoscia e quanta disperazione invasero i cuori dei discepoli durante i giorni nei quali il loro amato Signore riposava nella tomba!
Eppure Cristo era apparso esattamente al tempo e nel modo indicati dalla profezia. La testimonianza della Scrittura si era adempiuta in ogni particolare del suo ministero. Egli aveva annunciato il messaggio della salvezza, e il suo messaggio era stato dato con potenza, sì che gli uditori si erano convinti che si trattava di un annuncio di origine celeste, mentre la Parola e lo Spirito di Dio attestavano il divino incarico del Figlio.
Sebbene i discepoli fossero legati da vivo affetto al loro amato Maestro, le loro menti erano torturate dall'incertezza e dal dubbio. Nella loro angoscia, essi non riuscivano a ricordare le parole di Cristo relative alle sue sofferenze e alla sua morte. Se Gesù di Nazaret fosse stato il vero Messia, sarebbero essi, ora, così immersi nel disinganno e nell'ambascía? Era questa la domanda che sconvolgeva le loro anime, mentre il Salvatore giaceva nel sepolcro durante le ore di quel sabato che separò la morte di Cristo dalla sua risurrezione.
Avvolti dalle fitte tenebre del dolore, i seguaci di Cristo non furono però abbandonati. Dice il profeta Michea: « Se seggo nelle tenebre, l'Eterno è la mia luce... Egli mi trarrà fuori alla luce, e io contemplerò la sua giustizia » Michea 7: 8, 9. E ancora: « Le tenebre stesse non possono nasconderti nulla, e la notte risplende come il giorno; le tenebre e la luce son tutt'uno per te » Salmo 139: 12. « La luce si leva nelle tenebre per quelli che son retti, per chi è misericordioso, pietoso e giusto » Salmo 112: 4. Isaia aggiunge: « Farò camminare i ciechi per una via che ignorano, li menerò per sentieri che non conoscono; muterò dinanzi a loro le tenebre in luce, renderò piani i luoghi scabri. Sono queste le cose ch'io farò, e non li abbandonerò » Isaia 42: 16.
L'annuncio fatto dai discepoli nel nome del Signore era esatto in tuttì i suoi particolari, e gli eventi predetti si stavano adempiendo l'uno dopo l'altro. « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino »: era stato il loro messaggio. Alla fine del « tempo » delle sessantanove settimane di Daniele 9, che dovevano estendersi fino al « Messia unto », Cristo aveva ricevuto l'unzione dello Spirito subito dopo il battesimo impartitogli da Giovanni Battista al Giordano. Il « regno di Dio » definito « vicino » era stato stabilito dalla morte di Cristo. Certo, questo regno non era quello che era stato loro insegnato, cioè un impero terreno. Esso non era neppure quel futuro regno immortale che sarà stabilito quando « il regno e il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo » Daniele 7: 27, regno eterno nel quale « tutti i dominii lo serviranno e gli ubbidiranno ». Nella Bibbia l'espressione « regno di Dio » indica tanto il regno della grazia, quanto il regno della gloria. Quello della grazia è messo in -risalto dall'apostolo Paolo nella sua lettera agli Ebrei. Dopo avere indicato Cristo come intercessore compassionevole, che simpatizza con le nostre umane infermità, l'apostolo aggiunge: « Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno » Ebrei 4: 14, 16. Il trono della grazia rappresenta il regno della grazia, poiché l'esistenza di un trono presuppone necessariamente quella di un regno. In molte delle sue parabole, Cristo usò l'espressione « regno dei cieli » per designare l'opera della grazia divina nei cuori degli uomini.
Allo stesso modo il trono della gloria rappresenta il regno della gloria, regno cui alludeva il Signore dicendo: « Or quando il Figliuol dell'uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo seco tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate dinanzi a Lui » Matteo 25: 31, 32. Questo regno è ancora nel futuro, e sarà stabilito al secondo avvento di Cristo Gesù.
Il regno della grazia fu istituito subito dopo la caduta dell'uomo, quando venne elaborato il piano della redenzione per l'umanità colpevole. Esso esisteva già come proposito e promessa di Dio. Questo regno, del quale si diventa sudditi per fede, fu però stabilito ufficialmente solo dopo la morte di Cristo. Infatti, anche dopo essere venuto nel mondo per la sua missione terrena, il Salvatore, stanco della caparbietà e dell'ingratitudine degli uomini, avrebbe potuto benissimo rinunciare al sacrificio del Calvario. Nel Getsemani, il calice tremò nelle sue mani. Anche in quel momento Egli avrebbe potuto asciugare il sudore di sangue che -imperlava la sua fronte e lasciare che l'umanità colpevole pagasse il fio della propria iniquità. Se lo avesse fatto, non ci sarebbe stata nessuna redenzione per l'uomo. Quando, però, il Salvatore depose la sua vita, e in un estremo anelito esclamò: « Tutto è compiuto! », apparve chiaro che il piano della redenzione era assicurato, e che era stata ratificata la promessa di salvezza fatta in Eden alla coppia colpevole. Allora fu stabilito il regno della grazia che fino a quel momento esisteva in virtù della promessa di Dio.
In questo modo la morte di Cristo, che i discepoli consideravano, come la fine di ogni loro speranza, fu quella che la confermò. Se fu per essi fonte di amaro disinganno, la morte di Cristo, in -realtà rappresentava in maniera perentoria la conferma dell'esattezza della loro credenza. L'evento che li aveva riempiti di amarezza e di disperazione, doveva contribuire ad aprire la porta della speranza a ogni discendente di Adamo, e rappresentare il centro della vita futura e dell'eterna felicità dei fedeli figli di Dio di tutti i secoli.
I disegni della misericordia infinita si stavano così adempiendo proprio attraverso la delusione dei discepoli. I loro cuori erano stati, è vero, conquistati dalla grazia divina e dalla potenza dell'insegnamento di Colui che parlava come mai nessuno aveva parlato; però all'oro puro del loro amore per Gesù si mescolavano le scorie delle vedute terrene e delle ambizioni egoistiche. Perfino nella stanza dove fu celebrata la Pasqua, nell'ora solenne in cui già cominciavano ad allungarsi sul Maestro le ombre del Getsemani, ci fu « una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore » Luca 22: 24. Essi pensavano al trono, alla corona e alla gloria di questo mondo, mentre dinanzi a loro si profilavano l'infamia e l'agonia del giardino, del pretorio e della croce del Calvario. L'orgoglio del loro cuore e la sete di gloria terrena li tenevano tenacemente abbarbicati all'erroneo insegnamento del loro tempo, impedendo loro di tenere nella dovuta considerazione le parole del Salvatore che mettevano in luce la vera natura del suo regno e preannunciavano già la sua agonia e la sua morte. Questi errori portarono alla prova che, sebbene dura ma necessaria, fu permessa perché essi potessero correggersi. I discepoli, pur sbagliandosi circa il significato del messaggio che predicavano e pur non vedendo conseguite le loro aspirazioni, avevano fedelmente dato l'avvertimento loro affidato da Dio; il Signore, per conseguenza, non avrebbe mancato di premiare la loro fede, il loro amore e la loro ubbidienza. Ad essi doveva essere affidato l'incarico di comunicare al mondo il glorioso Vangelo del Signore risorto. Era in vista della preparazione per tale compito che il Salvatore aveva permesso una così dura esperienza.
Dopo la risurrezione, Gesù apparve ai discepoli sulla via di Emmaus e « cominciando da Mosè, e seguendo per tutti i profeti, dichiarò loro in tutte le scritture le cose ch'erano di lui » Luca 24: 27. 1 cuori dei due discepoli rimasero scossi e la loro fede fu ravvivata. Si sentirono « rinascere... ad una speranza viva », prima ancora che Gesù si fosse fatto riconoscere da loro. Il Maestro volle illuminare il loro intelletto e aiutarli a far poggiare la loro fede sulla sicura parola profetica. Voleva che la verità si radicasse profondamente nelle loro menti non solo perché sostenuta dalla sua testimonianza personale, ma perché convalidata dai simboli e dalle ombre della legge cerimoniale, oltre che dalle precise dichiarazioni profetiche dell'Antico Testamento. Era necessario per i seguaci di Cristo avere una fede intelligente non solo per se stessi, ma anche per poter recare al mondo la conoscenza di Cristo. Come primo passo per la comunicazione di tale conoscenza, Gesù richiamò l'attenzione dei discepoli su Mosè e sui profeti. Fu questa la testimonianza data dal Salvatore risorto sul valore e sull'importanza delle Scritture. del Vecchio Testamento.
Nel contemplare l'amato volto del Maestro, nel cuore dei discepoli avvenne un profondo cambiamento (Luca 24: 32). Essi riconobbero, in un senso più completo e più perfetto di prima, « Colui del quale hanno scritto Mosè ed i profeti ». In tal modo l'incertezza, l'angoscia e la disperazione lasciarono il posto a una serena fiducia e a una fede senza ombre. Non c'è perciò da stupirsi se dopo la sua ascensione essi « erano del continuo nel tempio, benedicendo Iddio » Luca 24: 53. La gente, che conosceva solo la morte ignominiosa del Nazareno, si aspettava di leggere sul volto dei suoi seguaci un'espressione di dolore, di confusione, di sconfitta; invece vi lesse solo una radiosa luce di gioia e di trionfo. Come risultato della prova più dura che potesse essere immaginata, i discepoli ricevettero una speciale preparazione per l'opera che stava loro dinanzi e, inoltre, poterono rendersi conto che se anche da un punto di vista umano tutto poteva sembrare perduto, in realtà la Parola di Dio avrebbe avuto un adempimento glorioso. Da ora in poi nulla avrebbe potuto spegnere la loro fede o estinguere il fuoco del loro entusiasmo. Nell'ora del più acuto sconforto, essi erano stati consolati dalla speranza, che è « un'àncora dell'anima, sicura e ferma » Ebrei 6:19. Testimoni della saggezza e della potenza di Dio, essi erano persuasi che « né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, ne potestà, né altezza; né profondità, né alcun'altra creatura » li avrebbero -potuti separare « dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore », Romani 8: 38, 39. « In tutte queste cose », essi dicevano, « noi siam più che vincitori, in virtù di colui Che ci ha amati » Romani 8: 37. « La Parola del Signore dimora in eterno », 1 Pietro 1: 25 (D). « Chi sarà quel che ci condanni? Cristo Gesù è quel che è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio; ed anche intercede per noi » Romani 8: 34.
Dice' il Signore: « Il mio popolo non sarà giammai più confuso » Gioele 2: 26 (D). « La sera alberga da noi il pianto; ma la mattina viene il giubilo » Salmo 30: 5. Il giorno della risurrezione, quando i discepoli rividero il Salvatore e udirono le sue parole con un palpito di gioia; quando videro quel capo, quelle mani, quei piedi feriti per loro; quando, più tardil Gesù li condusse fino a Betania e, alzando le mani, li benedisse e dichiarò: « Andate per tutto il mondo e predicate l'evangelo ad ogni creatura » Marco 16: 15; « Ecco io sono con voi in ogni tempo, sino alla fine del mondo » Matteo 28: 20; quando dieci giorni più tardi il Consolatore scese su di essi e li rivestì della potenza da alto, dando loro l'ineffabile. sensazione della presenza di Gesù; allora, neppure il sacrificio e il martirio li avrebbero spinti a cambiare il ministero del Vangelo e la corona di giustizia loro riservata per il trono terrestre da essi bramato al principio del loro apostolato. « Colui che può... fare infinitamente al di là di quel che domandiamo o pensiamo » aveva loro concesso, insieme con la comunione delle sue sofferenze, la comunione della sua gioia: gioia di addurre « molti figli alla gloria ». Dinanzi a questa prospettiva, come giustamente asserisce san Paolo, « la nostra momentanea, leggera afflizíone » non puo essere paragonata al « peso eterno di gloria » che è in serbo per i fedeli.
L'esperienza dei discepoli, che predicarono l'Evangelo del regno in occasione dei primo avvento di Cristo, trova la sua contropartita nell'esperienza di coloro che proclamarono il messaggio del suo secondo avvento. Gli apostoli annunciavano: « Il tempo e compiuto e il regno di Dio è vicino ». Miller e i suoi collaboratori predicavano che il più lungo periodo profetico indicato nella Bibbia stava per finire, che il giudizio era imminente e che stava per essere inaugurato il regno eterno. L'annuncio dei discepoli relativo al tempo si basava sulla profezia delle settanta settimane 'di Daniele 9. Il messaggio di Miller annunciava la fine dei duemila trecento giorni di Daniele 8: 14, dei quali facevano parte le settanta settimane. In entrambi i casi la predicazíone era basata sull'adempimento di due differenti porzioni dello stesso grande periodo profetico.
Come i primi discepoli, Miller e i suoi collaboratori non compresero appieno la portata di quanto annunciavano. Gli errori che da tempo si erano insinuati nella chiesa, impedivano loro di giungere all'esatta interpretazione di un importante elemento della profezia. Per conseguenza, pur proclamando il messaggio che Dio aveva loro affidato, a motivo di una errata idea circa il suo significato, essi conobbero un'amara delusione.
Spiegando Daniele 8: 14: « Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato », Miller - come abbiamo già visto adottando il concetto generalmente accettato secondo cui la terra è il santuario, credeva si trattasse della purificazíone della terra mediante il fuoco del Signore, al momento dell'avvento. Quindi, resosi conto che la profezia indicava con esattezza il punto di arrivo dei duemila trecento giorni, egli ne concluse che essa coincideva con l'epoca del secondo avvento di Cristo. Tale errore va attribuito al fatto che Miller si adeguò alla credenza popolare relativa al santuario.
Nel sistema tipico, che era un'ombra del sacrificio e del sacerdozio di Cristo, la purificazione del santuario era l'ultima cerimonia celebrata dal sommo sacerdote a conclusione del ministero dell'intero anno. Era l'opera finale di espiazione: la rimozione dei peccati d'Israele, prefigurazione dell'opera conclusiva del ministero del nostro Sommo Sacerdote celeste, che vedrà la rimozione e la cancellazione dei peccati del suo popolo registrati nei libri del cielo. Questo servizio, che comporta un'opera di indagine e quindi di giudizio precede immediatamente la seconda venuta di Cristo sopra le nuvole del cielo con potenza e gran gloria. Alla sua venuta, infatti, ogni caso sarà già stato deciso. Gesù afferma: « Il mio premio è meco per rendere a ciascuno secondo che sarà l'opera sua » Apocalisse 22: 12. Quest'opera di giudizio che precede il secondo avvento è annunciata dal messaggio del primo angelo: « Temete Iddio e dategli gloria poiché l'ora del suo giudizio è venuta » Apocalisse 14: 7.
Coloro che proclamarono questo messaggio, lo fecero al momento giusto. Però, allo stesso modo che i discepoli annunciavano « il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino », basandosi sulla profezia di Daniele 9, senza rendersi conto che in quello stesso brano biblico era anche predetta la morte del Messia, così Miller e i suoi collaboratori predicarono il messaggio basato su Daniele 8: 14 e Apocalisse 14: 7 senza accorgersi che in Apocalisse 14 vi erano anche altri messaggi che dovevano essere trasmessi al mondo prima dell'avvento del Signore. Come i discepoli si ingannarono sulla natura del regno che doveva essere stabilito alla fine delle settanta settimane, così gli avventisti si ingannarono sull'evento che si sarebbe dovuto verificare alla fine dei duemila trecento giorni. In entrambi i casi si trattò dell'adesione a idee popolari errate che purtroppo travisarono il senso della profezia. Sia i discepoli che gli avventisti, però, fecero la volontà dì Dio annunciando il messaggio che Egli voleva che fosse predicato. Nondimeno, sia i primi che i secondi, a causa dell'inesatta interpretazione di quanto comunicavano, subirono un'amara delusione.
Dio, comunque,. conseguì ugualmente lo scopo che si era prefisso in quanto l'annuncio del giudizio fu dato integralmente. Il gran giorno era imminente e, nella sua provvidenza, Iddio fece sì che la gente fosse tempestivamente avvertita e così messa in condizione di analizzare il proprio stato spirituale. Il messaggio doveva contribuire alla purificazione dei credenti, in quanto essi si sarebbero resi conto se i loro affetti erano accentrati sul mondo oppure su Cristo e sul cielo. Dato che essi asserivano di amare il Salvatore, veniva loro offerta l'opportunità di dimostrare la vera essenza dei propri sentimenti. Erano pronti a rinunciare alle speranze e alle ambizioni terrene per accogliere con gioia l'avvento del Signore? Il messaggio li metteva in condizione di rendersi conto dello stato spirituale nel quale si trovavano, e Dio, nella sua misericordia, lo de.tte proprio per suscitare in loro la volontà di cercare il Signore con umiliazione e pentimento.
La delusione, anche se frutto dell'errata interpretazione del messaggio annunciato, contribuì sostanzialmente al loro bene, perché servì a mettere alla prova i cuori di quanti affermavano di accettare l'avvertimento divino. Dinanzi alla delusione patita, avrebbero essi rinunciato alla loro fede, abbandonando la fiducia nella Parola di Dio, oppure avrebbero cercato in preghiera e con sottomissione di stabilire la causa della loro mancata comprensione *della profezia? Quanti avevano 'agito per timore, per impulso e per eccitazione? Quanti erano solo in parte convinti e increduli? Molti dicevano, è vero, di amare l'apparizione del Signore, però quando sarebbero stati chiamati ad affrontare gli scherni e il biasimo del mondo, ad assaporare l'amarezza del ritardo e dell'errata interpretazione, avrebbero saputo conservare la fede? Non avendo subito capito le vie di Dio nei loro riguardi, avrebbero forse rinunciato alle verità convalidate dalle chiare testimonianze della Parola ispirata?
Questa prova sarebbe valsa a rivelare la forza di coloro che con vera fede avevano ubbidito a quanto stimavano fosse l'insegnamento della Sacra Scrittura e dello Spirito di Dio. Essa, inoltre, avrebbe loro insegnato, come solo simile esperienza poteva farlo, il Pericolo cui si va incontro accettando teorie e interpretazioni umane, anziché fare della Bibbia l'interprete di se stessa. Per i credenti mossi dalla fede, le angosce e le sofferenze derivanti da questo errore costituivano la correzione necessaria. Infatti, esse li avrebbero aiutati a esaminare con maggior cura i fondamenti della loro fede e a respingere tutto ciò che, anche se generalmente accettato dal mondo cristiano, non trovava appoggio alcuno nella Sacra Scrittura.
A questi credenti, come già ai primi discepoli, quello che nell'ora della prova appariva oscuro, in seguito sarebbe apparso chiaro. Quando essi avrebbero visto « la fine del Signore » si sarebbero resi conto che nonostante la prova -conseguenza dello sbaglio commesso - i piani divini, dettati dal suo amore per loro, avrebbero avuto un pieno adempimento. Avrebbero anche imparato, per quell'esperienza, che Egli è « grandemente pietoso e misericordioso », e che tutte le sue vie sono « verità e misericordia per quanti osservano il suo patto e le sue testimonianze ».